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La “notizia”

“Secondo i dati forniti dall’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo focus “Fare i conti con la salute mentale”, la depressione grave, il disturbo bipolare, la schizofrenia e le altre malattie mentali gravi riducono la speranza di vita in media di 20 anni rispetto alla popolazione generale, in modo analogo alle malattie croniche come le malattie cardiovascolari. Il 5% della popolazione mondiale in età lavorativa ha una severa malattia mentale e un ulteriore 15% è affetto da una forma più comune. Una persona su due, nel corso della vita, avrà esperienza di un problema di salute mentale e ciò ridurrà le prospettive di occupazione, la produttività e i salari.”

Queste sono le frasi più dure che l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sceglie di usare per introdurre il lettore ad una dimensione socialmente e culturalmente ramificata in tutte le “classi di uomini”; una dimensione che si è ritrovata, come improvvisamente, al centro del dibattito mondiale mostrando la sua elevata capacità di impattare “sulla salute, sulla qualità della vita della popolazione e sulla sostenibilità dei costi dell’assistenza alle terapie farmacologiche e di supporto”.

“Come improvvisamente” tra le virgolette perché in realtà c’erano già i presupposti per impedire l’intensificarsi delle malattie mentali: nel 1997, infatti, era stata indetta, a Jakarta, la 4° Conferenza internazionale sulla promozione della salute, durante la quale era stato siglato l’accordo che porta il nome di Dichiarazione di Jakarta su come guidare la promozione della salute nel 21° secolo. In tale accordo vennero definiti gli aspetti necessari per riuscire ad abbattere le disparità in campo sanitario quali “la pace, una casa, l’istruzione, la sicurezza sociale, le relazioni sociali, il cibo, un reddito, l’attribuzione di maggiori poteri alle donne, un ecosistema stabile, un uso sostenibile delle risorse, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e l’equità”.

Ancora oggi, però, essi risultano essere aspetti che il settore della sanità, da solo, non è in grado di garantire; quindi i governi, i vari settori socio-economici, le organizzazioni governative e quelle volontarie, sono tenuti a definire un piano di azione comune con strategie e programmi di promozione alla salute adattabili ai bisogni locali in sé dei paesi e delle regioni, nonché ai diversi sistemi sociali, culturali ed economici.

Il discorso così trattato, mette in luce una costante della dimensione moderna ovvero la nozione di “normale” nella sua duplice veste: la troviamo nella sua asserzione descrittiva (da qui “normalità”) perché rappresenta “il risultato di un calcolo statistico, di un’osservazione empirica su comportamenti comuni e diffusi in un determinato contesto storico-sociale”; e in quella prescrittiva ad indicare normatività ovvero ad indicare le regole comuni da seguire per rientrare in una determinata categoria e così rispettare l’equilibrio socio-culturale di ogni società.

Basti pensare che la diagnosi stessa della malattia mentale dipende dai progressi della farmacologia e dal suo potere decisionale oltre che dalle credenze di uno stato: negli Stati Uniti, per esempio, il sistema assicurativo sanitario si regola in base alle definizioni fornite dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSMManuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) redatto dall’American Psychiatric Association (APA), mentre nella maggior parte degli stati (193 per la precisione) ci si rifà al sistema di classificazione chiamato International Classification of Diseases (ICDClassificazione Internazionale delle Malattie) stilato dall’OMS.

Detto ciò, risulta quindi evidente e doveroso guardare indietro prima di trattare le soluzioni ad ora adottate (in funzione di queste linee guida generali e standard)…

Le cause economico-giuridiche

Riprendendo i concetti di normalità e normatività sopra citati, è possibile arrivare alle cause dietro l’aumento delle malattie mentali.

Li si collega, infatti, a quanto detto da Sigmund Freud nel suo libro “Disagio della civiltà” (1929): l’uomo è disposto a vivere in una civiltà che ne limiti le libertà e, di conseguenza, ne limiti la capacità (spesso assoluta) di essere felice, pur di non perdere la garanzia di sopravvivenza e la sicurezza economica e giuridica che gli spetta.

Se ne deduce che quando tale equilibrio viene meno, l’insicurezza trova terreno fertile. E a quale periodo si riconduce l’inizio della fine? Agli anni ‘70, ovvero agli anni della crisi energetica provocata da un sostanziale aumento del prezzo del petrolio a scapito di Israele e dell’Occidente. Una decisione presa dall’OPEC per dimostrare solidarietà all’Egitto e alla Siria durante la Guerra del Kippur (contro Israele). Una guerra di potere che ha messo in ginocchio l’economia dei più deboli e che ha costretto le loro aziende a riorganizzarsi e a rimboccarsi le maniche: la soluzione a cui giunsero vedeva la “creazione” di organizzazioni basate su una maggiore pressione sui tempi di lavoro (l’economia doveva riprendersi nel minor tempo possibile e andare di pari passo allo sviluppo tecnologico), su uno scarso potere decisionale (i membri di un’azienda, in situazioni problematiche, prendono decisioni sulla base di regole fisse e pensate a priori dall’organizzazione stessa) e su un’incertezza rispetto alla continuità della carriera professionale (a causa, ad esempio, di agevolazioni fiscali a favore dell’azienda per nuove e giovani assunzioni).

Le classi sociali appartenenti alla generazioni delle lotte sindacali arrivano a sentirsi abbandonate perché ignorate e private di quanto erano riuscite ad ottenere, mentre le nuove generazioni si trovano a vivere le ingiustizie come condizione normale per la loro posizione non privilegiata. Si viene così a definire una crescente incertezza verso il futuro, una maggiore disuguaglianza lavorativa e una propensione ad instaurare relazioni dipendenti e distruttive col potere.

Non solo, l’accelerazione della tecnologia che ne seguì, ha comportato una riduzione dei contatti fisici reali oltre che una riduzione e modifica dei rituali tipici “maschili” e “femminili” di integrazione sociale (viene meno il confronto diretto e reale e, quindi, viene limitata la crescita personale). Si riduce considerevolmente la “dieta” emotiva, portando l’individuo ad essere una pedina dei poteri forti, anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Il quadro generale si aggrava quando queste condizioni si inseriscono nella vita dei bambini e degli adolescenti: con uno sviluppo già caratterizzato da una propensione all’isolamento, ridurre al virtuale gli spazi di condivisione porta il minore a chiudersi in se stesso e a non esternalizzare i propri problemi o le proprie preoccupazioni.

La velocità e l’insicurezza, poi, non permettono l’assimilazione corretta dei cambiamenti in atto e non ricreano gli ammortizzatori sociali contro lo stress e gli altri disagi psicologici: si riduce il sonno con conseguente riduzione dello sviluppo del cervello (soprattutto nei bambini e negli adolescenti).

Ed è così che si arriva, anche in giovane età, ad avere disturbi mentali intesi sia come “patologie psichiatriche quali ansia, depressione o disturbi bipolari, che come disturbi neurologici, come Alzheimer e demenze”, disturbi che diventano nei Paesi ad alto reddito “la principale causa di perdita di anni di vita per morte prematura e disabilità (17,4%), seguiti dal cancro (15,9%), dalle malattie cardiovascolari (14,8%), dagli infortuni (12.9%) e dalla malattie muscolo-scheletriche (9,2%)”.

Le cause socio-culturali

Gli altri punti su cui riflettere si basano su questi due interrogativi: perché quando si soffre di un dolore fisico contattiamo subito il medico di riferimento, mentre quando la sofferenza è di tipo mentale no?

Cosa ci ferma dal chiedere aiuto?

La salute mentale è un argomento carico di pregiudizi; chi vorrebbe chiedere aiuto teme le critiche delle persone presenti nella sua rete sociale ed il giudizio dello specialista a cui vorrebbe rivolgersi.

Il gruppo dei pari gioca un ruolo importante perché si vive in preda alla paura dell’esclusione, della derisione, dell’incomprensione o, peggio ancora, di essere considerati come pericolosi per se stessi e per gli altri, quando in realtà il silenzio rappresenta il vero pericolo.

Il secondo fattore da considerare è il costo. La persona che già prova vergogna di chiedere aiuto ad uno specialista si troverà ad ideare tutta una serie di stratagemmi per nascondersi e per capire come poter sostenere le costanti spese di una consulenza psicologica.

Non solo, un’aderenza bassa ai trattamenti unita all’insorgere di altre problematiche, peggiorerebbe la condizione del paziente richiedendo tempi di “riabilitazione” più lunghi. Problema già quantificato in un rapporto dell’Harvard School of Public Health e del World Economic Forum (WEF), in cui si stima che “tra il 2011 e il 2030 il costo delle malattie mentali in tutto il mondo sarà di oltre 16 trilioni di dollari in termini di mancata produzione, più di patologie oncologiche, cardiovascolari, respiratorie croniche e del diabete”.

Quali mezzi abbiamo a disposizione in questo mondo digitalizzato per aiutarci?

Il fenomeno del online counseling ha iniziato a prendere piede quando la vita si è fatta più frenetica e le persone hanno acquisito la dote del multitasking, per riuscire a fronteggiare tutti gli impegni della quotidianità. Ha poi ricevuto una spinta naturale dalla pandemia, data la migrazione dei rapporti umani nelle piattaforme di messaggistica e per i problemi psicosociali emersi in seguito.

Il supporto psicologico online presenta numerosi vantaggi: l’anonimato dell’utente permette di superare il disagio derivante dal confronto diretto con lo specialista e agisce come fattore rassicurante; il giudizio esterno non è più un fattore rilevante perché, svolgendosi il percorso mediante un device, l’utente è consapevole del rispetto della sua privacy; permette a qualsiasi tipo di utente di farne uso, qualunque sia la posizione geografica.

In nostro soccorso giunge l’ecosistema delle applicazioni multipiattaforma:

  • AiutoPsicologi è un’applicazione di sostegno momentaneo, si propone come un primo soccorso da utilizzare in situazioni di forte stress, ansia e attacchi di panico fornendo strumenti, tecniche utili per superare i momenti di crisi, e contatti diretti con personale qualificato. Presenta un layout semplice ed intuitivo.
  • Soultrainer è una piattaforma di counseling gratuito che mette in contatto la domanda di supporto con l’offerta professionale, garantendo l’anonimato agli utenti. Questa piattaforma consente di comunicare con gli esperti tramite chat di gruppo tematiche. Il bot presente nella piattaforma spiega brevemente agli utenti le modalità di utilizzo e consigliando di effettuare un test, così da permettere una migliore user experience. E’ presente anche il blog, in cui vengono trattati i più svariati temi dell’ambito psicologico, così da creare anche informazione per gli utenti iscritti e non, e conferire un valore aggiunto non indifferente.
  • Cozily, invece, ricrea un colloquio psicologico a tutto tondo. Composto da psicologi e psicoterapeuti iscritti all’Albo e selezionati tramite attenti criteri di valutazione. Il percorso ha inizio con un periodo di prova dove l’utente ha modo di capire se il servizio può soddisfare le proprie esigenze, in cui conosce le modalità di funzionamento ed ha le prime interazioni conoscitive con lo specialista. Se il giudizio è positivo, al termine della prova, l’utente sottoscrive un abbonamento mensile il cui costo è nettamente inferiore ad un classico percorso di psicoterapia. In particolare “con la sottoscrizione dell’abbonamento si avrà accesso all’anamnesi iniziale, alla programmazione delle attività, all’assegnazione di esercizi graduali, all’utilizzo del diario per registrare i progressi e al supporto continuativo del terapeuta via chat”. La forza dell’applicativo sta proprio nel cercare di rendere l’iter terapeutico il più simile alla reale seduta di terapia psicologica.
  • ItaliaTiAscolto: ecco un’applicazione firmata Bicocca, nata per supportare chiunque si trovi in una situazione di malessere emotivo e forte stress causati dalla grave emergenza sanitaria in cui ci troviamo. L’applicativo è stato inizialmente finanziato dalla Fondazione di Comunità Milano, propone degli incontri virtuali che trattano temi come la gestione delle emozioni, del lutto, della gravidanza, e che danno vita a momenti di condivisione in cui i partecipanti possono condividere le proprie esperienze. Tutti argomenti che sono pensati per crescere e sostenersi.

Se qualcuno volesse intraprendere un percorso di terapia psicologica ma non sapesse a chi rivolgersi?

L’offerta di cui è possibile disporre nell’epoca digitale è aumentata non di poco: basti pensare che è possibile svolgere sessioni da remoto con specialisti provenienti da tutto il territorio nazionale.

Il Servizio Italiano di Psicologia Online mette a disposizione un portale completo con la descrizione di ogni specialista, il tipo di applicazione utilizzata per svolgere le sedute ed il costo. Inoltre è possibile aggiungere dei filtri nella propria ricerca in base al tipo di specializzazione ricercata.

L’introspezione è una risorsa alla portata di tutti: il primo passo da compiere per prendersi cura del proprio stato mentale è informarsi.

Nella rete bisogna prestare attenzione ed attingere da fonti attendibili, costruendosi un bagaglio di conoscenze basilari, diventando così più consapevoli di se stessi.