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Chiunque possieda un profilo social avrà sperimentato, come utente, l’influencer marketing. Quanto però conosciamo davvero questa realtà e le relazioni che intercorrono tra brand, influencer e pubblico? Ce le racconta attraverso questa intervista Matteo Pogliani, Head of Digital per l’agenzia Open-Box e professionista che si occupa da molti anni di comunicazione, soprattutto nel mondo online.

Come potremmo definire l’influencer marketing?

Si tratta di un tipo di marketing basato sul coinvolgimento di figure che, grazie a un’attività di personal branding, hanno guadagnato autorevolezza e una forte reputazione online. Queste persone sono centrali all’interno del network e rappresentano un medium e un plus per la comunicazione aziendale, perchè le loro qualità vengono prese in prestito dal brand. È una strategia efficace: gli influencer hanno naturalmente un appeal rispetto ai propri follower e, a differenza di quanto accade nel marketing tradizionale, vengono eliminate le sovrastrutture commerciali. La comunicazione così è più leggera e ha un impatto maggiore sull’utente. Bisogna fare attenzione a scegliere le persone giuste, perchè “il chi vale quanto il cosa”: solo così gli influencer riescono a essere driver per relazioni con gli utenti finali, accorciando la distanza tra brand e utente grazie all’affinità con i propri followers.

Da quando è nato si sta evolvendo?

Un’evoluzione c’è stata: già negli anni 50’ si parlava degli “opinion leader” come di figure che avevano un impatto sulle persone. Per sfruttare questa influenza però bisognava avere accesso ai mezzi di comunicazione di massa. Le prime vere e proprie forme di influencer marketing si sono sviluppate sui blog, mentre ora che queste attività non sono più rare il canale principale è Instagram. Il valore del contenuto sta tornando centrale: lo testimonia il fatto che ora si parli sempre di più di “content creator” e non solo di influencer. Ciò si riflette anche in un altro aspetto: se una volta era l’influencer a far produrre per sé un contenuto da pubblicare, ora le aziende stanno sfruttando la capacità dei creator di creare contenuti per il brand stesso (ne sono un esempio i ragazzi di “Casa Surace” e i “The Jackal”)

Che caratteristiche ha un progetto di influencer marketing efficace?

L’elemento decisivo per giudicare l’efficacia di un progetto è il suo risultato, anche se per arrivare a un buon risultato ci sono dei criteri generalmente validi. Bisogna aver chiaro il concept del progetto nel momento in cui si seleziona l’influencer più adatto e considerarne il pubblico in base a dati come l’età, il sesso e le affinità con il creator. Un errore frequente infatti è la scelta basata unicamente sull’ampiezza della fanbase, o sulla fama. Questo tipo di marketing è di principio uno strumento trasversale e quindi adatto anche ad aziende più piccole, che riescono però a raggiungere una nicchia di interesse. È importante che non ci sia contrasto di stile, mood e tono tra il brand e l’influencer: limitarsi a inviare un prodotto all’influencer per vederlo condiviso nelle stories di Instagram spesso può rivelarsi un errore. Non bisogna considerare solamente l’affinità tra la fan base e il creator, ma anche quella tra il creator e il prodotto stesso. Una cosa importante da considerare per l’azienda è che l’influencer marketing è uno spot che si accende sul brand: se la sua presenza online non è perfetta si vedranno le crepe del progetto.

Come nasce un progetto di influencer marketing?

Si parte dal colloquio con l’azienda: bisogna conoscerne gli obiettivi legati al business, per esempio il lancio di un prodotto ( un obiettivo di business infatti non può essere il raggiungimento di un certo numero di follower). Da un briefing iniziale nasce il concept di progetto, l’idea creativa alla base. Si sceglie allora il canale migliore per realizzarlo e in base a questo si attiva la fase di influencer outreach: si fanno valutazioni profonde sulle collaborazioni passate di un influencer, sulla sua performance nella collaborazione con i brand e sulla sua reputation, per verificare che non abbia scheletri nell’armadio. Una volta individuata la persona giusta, viene comunicata una linea guida del progetto da seguire, senza però imporle uno stile comunicativo. Dopo la pubblicazione si fa un monitoraggio per capirne l’impatto: si analizza la conversazione online prima e dopo la pubblicazione, uno dei pochi strumenti sia qualitativi sia quantitativi per valutare l’impatto della campagna. Anche il valore equivalente, un concetto del marketing tradizionale che si applica anche ai social, è importante: per esempio, quando si analizza la performance di un’attività di influencer marketing su Instagram considerandone le interazioni che ha generato e il reach ci si chiede quante risorse si sarebbe dovuto mettere in campo se si fosse investito per lo stesso progetto in advertising di Instagram.

Esistono linee guida che influencer e aziende devono seguire?

Sì, esistono e sono consultabili da tutti: lo I.A.P ( Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria)  le ha inserite in un documento pubblico, la Digital chart. Il principio fondamentale è la riconoscibilità della non spontaneità di un qualsiasi contenuto frutto di una collaborazione tra influencer e brand. L’utente può accorgersene grazie a dei disclaimer, come #adv o #ad seguiti dal nome del brand, che devono essere inseriti nella prima parte del post. Lo stesso principio vale anche nel caso di un prodotto spedito come regalo, che deve essere segnalato dall’hashtag #gifted; non è ritenuto sufficiente dallo stesso I.A.P invece l’uso dell’opzione “branded content” su Instagram. Le multe per chi non rispetta queste regole ci sono e si inaspriscono nel caso in cui non si informino gli utenti sui rischi per la salute. In Italia però non è mai stata comminata una: nella maggior parte dei casi la segnalazione di un contenuto che non rispetta le regole finisce in una cancellazione o in un’integrazione del contenuto stesso, quando però il danno nei confronti degli utenti è già stato fatto.