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Oggi è il 5 febbraio 2021 e se ci fermassimo un secondo a riflettere su quanto è accaduto negli ultimi mesi potremmo dire che è già passato quasi un anno dal primo caso di Coronavirus in Italia, si è rinunciato alle vacanze esotiche, alle festività in famiglia e magari anche a celebrare quei traguardi attesi per tutta la vita. Ma solo una cosa è rimasta costante nella nostra quotidianità: il cibo; in fondo non c’è nulla che non possa essere risolto davanti ad una buona una pizza e una birra.

Il cibo, in particolar modo in Italia, non è solo un modo per far fronte alle necessità vitali, bensì rappresenta anche un vero e proprio piacere. Pensiamo al pane, alla pizza, alla pasta: alcuni cibi hanno un loro valore culturale. Ciò che invece non è insito nella nostra cultura è il valore materiale del cibo.

I dati dello spreco alimentare in Italia e nel mondo

Secondo l’Osservatorio Waste Watcher, il primo osservatorio italiano sugli sprechi alimentari, nel 2019, ciascun italiano ha buttato circa 36 kg di cibo, per una perdita economica di circa 15 miliardi di euro, ovvero quasi lo 0,88% del PIL; è come se ogni domenica mattina, ogni italiano, si svegliasse e buttasse più di 5 euro nel cestino marrone che solitamente si trova posizionato sotto al lavandino. Nessuno lo farebbe realmente, eppure si hanno molti meno problemi a farlo col cibo…infatti ben più del 50% dello spreco alimentare avviene in casa per la scarsa sensibilità dei cittadini.

Cifre del tutto simili sono state registrate sia in Europa e persino negli Stati Uniti, dove nel 2017, la NRDC, una delle più importanti organizzazioni ambientaliste della nazione, ha stilato il primo report sul fenomeno del food waste nelle città e deducendo che, anche in questo caso, ben più del 50% dello spreco del cibo avveniva tra le mura domestiche. Inoltre, dallo studio si evince come ben il 57% del cibo gettato in America sia “typically edible”, ossia generalmente ancora commestibile. Con un buon grado di astrazione, anche se non sono presenti studi in materia, è lecito pensare che percentuali simili siano presenti anche in Italia.

Cos’è veramente lo spreco alimentare?

Generalmente, ci si riferisce alla nozione di spreco alimentare per riferirsi al cibo acquistato e non consumato e che inesorabilmente finisce nella spazzatura, ma questa non è di certo l’unica accezione valida. Infatti, è più corretto riferirsi allo spreco alimentare come fa l’ISPRA che lo definisce come “la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali o le capacità ecologiche”. La descrizione che ci viene fornita permette di annoverare nello spreco alimentare tutte le perdite di quella quantità di prodotti alimentari che viene persa o gettata lungo la catena di produzione e di lavorazione delle materie prime, fino alla distribuzione e al consumo.

Sebbene manchi una definizione riconosciuta a livello internazionale, solitamente ci si riferisce alla nozione di “food waste”. Waste è un termine inglese e secondo il Collins, può assumere ben due significati: spreco ma anche rifiuto…così, è lecito chiedersi: cos’è un rifiuto? La risposta è presente nel Testo Unico dell’Ambiente (art.183 comma1), secondo cui può essere definito rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”, eppure nella spazzatura finiscono anche: i prodotti acerbi, i prodotti non conformi agli standard qualitativi/estetici e anche prodotti che giacciono troppo a lungo nei magazzini. È forse necessario disfarsi di essi? È forse obbligatorio? No, nemmeno questo!

Le conseguenze dello spreco alimentare

Secondo i dati diffusi dalla FAO, a livello globale, circa il 14% del cibo prodotto viene perso tra la raccolta e la vendita al dettaglio. Lo scorso settembre, António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, in un messaggio diffuso in occasione della Prima Giornata internazionale della consapevolezza della perdita e dello spreco alimentare ha definito questi fenomeni come un’”offesa etica”, considerato l’elevato numero di persone che soffrono la fame. In somma la questione dei rifiuti alimentari finisce per inasprire il problema della sicurezza alimentare, tanto che il food-waste assume le caratteristiche di un fenomeno socio-economico a tutti gli effetti.

Inoltre, non possono essere tralasciate i danni ecologici provocati dallo spreco alimentare. Infatti, allo spreco dei prodotti edibili corrisponde un inesorabile spreco di risorse: il suolo utilizzato per la coltura non consumata è un suolo che è stato impoverito inutilmente per non parlare della preziosissima acqua utilizzata per favorire la crescita dello stesso prodotto; un discorso analogo può essere fatto per prodotti animali e per i loro derivati. Senza contare che sia nel caso di prodotti vegetali che nel caso dei prodotti animali, è stata rovinosamente emessa anidride carbonica in atmosfera la quale dà un enorme contribuito a quel noto fenomeno che minaccia l’esistenza della vita sul Pianeta ossia il cambiamento climatico.

Chiunque può contribuire a migliorare la situazione

Le perdite e gli sprechi alimentari rappresentano una grande sfida per la nostra epoca,” ha dichiarato il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu, tanto che successivamente ha esortato i Paesi membri alla collaborazione mediante partenariati più stretti. Inoltre, ha auspicato un aumento degli investimenti nella formazione dei piccoli agricoltori, nelle tecnologie e nell’innovazione con apporti del settore sia pubblico che privato.

Nell’ultimo anno, anche “grazie” alla pandemia gli Italiani hanno dimostrato di aver intrapreso il giusto percorso tanto che, secondo Coldiretti: “Più di 1 italiano su 2 (54%) ha diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi ad una maggiore attenzione alla data di scadenza, fino alla spesa a chilometri zero dal campo alla tavola con prodotti più freschi che durano di più.” Questo ci dimostra come è possibile porre gradualmente fine al fenomeno del food-waste, ma ciascuno di noi deve contribuire secondo la propria misura.