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Ambiente, società e tecnologia

Un semaforo per gli alimenti? Non esattamente: cos’é e come funziona il Nutri-score

Immaginate un sistema di etichettatura alimentare semplice, intuitivo e che aiuti a compiere scelte di acquisto consapevoli: si tratta dell’obiettivo di Nutri-Score, ideato dalla Public Health Agency francese e utilizzato per la prima volta proprio in Francia nel 2017. Si torna a discuterne oggi perché il 25 gennaio di quest’anno è avvenuta la prima riunione ufficiale della commissione transnazionale, di cui fanno parte Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Francia e Lussemburgo, creata allo scopo di coordinare, monitorare e incoraggiare l’utilizzo di Nutri-Score. Ma si torna a discuterne, soprattutto in termini scettici, in Italia: se da una parte alcuni paesi europei lo hanno accolto volontariamente, molti ritengono che questo sistema possa penalizzare fortemente i prodotti made in Italy. Da cosa nascono questo timore e queste critiche? Ma soprattutto, che cos’è e come funziona il sistema Nutri-score?

Nutri-score: cinque colori per orientare i consumatori

Quanti di noi conoscono precisamente il significato della dichiarazione nutrizionale specifica per ogni prodotto e sanno interpretare il valore nutrizionale delle percentuali di macronutrienti riportati sul retro delle confezioni? O ancora, quante volte leggiamo questa etichetta prima di scegliere quali prodotti mettere nel carrello? Nutri-score nasce per semplificare queste informazioni e renderle accessibili grazie a una scala di cinque colori, dal verde all’arancione scuro e dalla “A” alla “E”, attribuiti ad ogni prodotto sulla base di un algoritmo che assegna un punteggio considerando numerosi fattori nutrizionali. Più basso sarà il punteggio ottenuto da un prodotto, più si avvicinerà ad ottenere una “A”. I fattori che fanno avvicinare un prodotto a un’etichettatura verde sono la presenza di fibre, la quantità di frutta e verdura presente in esso e il contenuto proteico; i nutrienti invece da limitare in una dieta equilibrata, e che quindi fanno tendere il risultato ad un’etichettatura gialla o arancione, sono i grassi saturi, il sale, gli zuccheri e un contenuto calorico molto elevato; i punteggi ricavati da ogni fattore vengono sommati fino ad ottenere il Nutri-score effettivo.

Sono stati condotti esperimenti per mettere alla prova l’efficacia del Nutri-score nell’accrescere la consapevolezza dei consumatori: in uno dei più recenti, pubblicato nel sul “International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity” nel novembre 2020, è stato chiesto a diversi campioni di popolazione scelti tra paesi diversi di ordinare tre prodotti della stessa categoria alimentare in base al valore nutrizionale che ognuno dei partecipanti gli avrebbe attribuito. I partecipanti avrebbero dovuto farlo prima avendo a disposizione solamente la dichiarazione nutrizionale, poi in base al punteggio assegnato ad ogni prodotto. Il risultato sembra scontato, ma é indicativo: Nutri-score si è dimostrato più efficace della semplice dichiarazione nutrizionale nell’aiutare i consumatori a mettere nel giusto ordine i prodotti che erano stati proposti (si trattava, nel caso di questo esperimento, di  cereali per la colazione e di tipi differenti di pizze surgelate).

Le critiche al Nutri-score: quali sono le perplessità che sorgono?

Nonostante alcuni paesi europei abbiano trovato un accordo per incentivare l’utilizzo di questa etichettatura (che rimane su base volontaria per le aziende produttrici), molte critiche sono arrivate soprattutto da parte dell’Italia. Le principali sono la potenziale non aderenza di questa etichettatura al modello della dieta mediterranea e il timore che alcuni prodotti made in Italy molto apprezzati, come il Parmigiano Reggiano o il prosciutto di Parma, vengano penalizzati da un punteggio molto basso (vicino alla “D”),fino a boicottarne l’export.

Questo sistema semplifica informazioni complesse, perció non deve essere considerato un indice assoluto da cui non discostarsi. Uno dei problemi fondamentali di queste critiche sta infatti nel fraintendimento dell’obiettivo dell’etichetta Nutri-score stessa: non è stata ideata per scoraggiare i consumatori dall’acquistare prodotti etichettati con “D” o “E”, come se fossero cibi da escludere categoricamente, così come non considera il valore gastronomico e tradizionale di un prodotto. I professionisti della nutrizione sono concordi nell’affermare che nessun alimento, escluso dal contesto dell’alimentazione individuale, sia “buono” o “cattivo”: un’etichettatura di questo tipo dovrebbe aiutare il consumatore a scegliere quali prodotti acquistare più frequentemente e quali più raramente. Alla luce di questo non dovrebbe stupire il punteggio ottenuto, per esempio, da un prodotto come il prosciutto, che in quanto prodotto a base di carne lavorata dovrebbe essere limitato nella nostra alimentazione. Il fraintendimento potrebbe derivare dall’impatto grafico che ha questa etichetta: siamo infatti abituati ad associare al rosso divieto o pericolo. Una comunicazione corretta in merito a questo sistema dovrebbe allora divulgare il fatto che non si tratti di un vero e proprio “semaforo alimentare”, ma di una scala indicativa.

Un’altra critica ha avuto origine da una comparazione tra l’etichetta che questo sistema assegnerebbe all’olio di oliva, una “C”, e alla Coca Cola zero, una “B”. Questo non significa però che la prima sia più salutare o che debba essere più presente in un regime alimentare rispetto al primo: il Nutri-score è molto più utile nel momento in cui i consumatori devono comparare prodotti della stessa categoria alimentare (come è stato richiesto nell’esperimento precedentemente citato). In questo caso i consumatori sapranno cogliere immediatamente la differenza tra l’olio di oliva e altri tipi di grassi vegetali o animali, così come quella tra la Coca Cola zero e bevande molto più zuccherate. Esistono inoltre algoritmi leggermente diversi da quello usato per gli alimenti in generale sia per i prodotti composti da grassi alimentari (come olio di oliva o burro) sia per le bevande (come succhi di frutta o bibite gassate).

È inevitabile pensare che, senza una corretta guida su come interpretare le etichette Nutri-score, si possa generare la stessa confusione che il questo sistema avrebbe l’obiettivo di risolvere. Non bisogna fare l’errore però di ignorare a priori questa ed altre proposte di etichettatura volte a semplificare e guidare la scelta dei consumatori in un campo complesso come quello dell’alimentazione.

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Ambiente, società e tecnologia

Veganuary: un’occasione per riflettere sulla sostenibilità del cibo

L’arrivo del nuovo anno riempie l’Homo Sapiens di buoni propositi che, pur toccando diversi ambiti, hanno lo scopo di renderli la versione migliore di loro stessi e proprio in questa ottica, nel 2014 vede la luce per la prima volta Veganuary. L’iniziativa, proposta dall’omonima organizzazione no-profit, lancia una sfida universale per incoraggiare le persone a provare per un mese un’alimentazione di tipo vegetale.

Il motivo per il quale si chiede di approcciarsi ad un’alimentazione vegana è semplice, attuale e chiaro: ciò che ciascuno mangia ha un enorme impatto ambientale e cambiare abitudini alimentari potrebbe divenire un gesto di consapevolezza per il benessere futuro del nostro Pianeta. Allora è opportuno chiedersi…qual è l’impronta ambientale impressa dall’alimentazione? Ed è possibile ridurla?

L’impatto ambientale del cibo

Nel luglio 2017 sulla rivista scientifica Nature è stato pubblicato uno studio nel quale veniva confrontato l’impatto ambientale della dieta di 153 adulti italiani suddivisi rispettivamente secondo il loro regime alimentare in: onnivori, vegetariani e vegani. Prima di analizzare i dati riportati nell’articolo, è bene dare alcune definizioni: vengono considerati onnivori tutti coloro che includono abitualmente nella loro dieta un’ampia varietà di alimenti sia di origine animale sia di origine vegetale, mentre le restanti categorie includono entrambe la componente vegetale e ciò che distingue i vegetariani dai vegani è l’utilizzo dei derivati animali, i quali sono ammessi solo nel primo dei due gruppi dietetici.

Così, ai fini della ricerca sono stati raccolti più di mille registri alimentari giornalieri dei quali si è calcolata: l’impronta di carbonio, l’impronta idrica e l’impronta ecologica. Questi tre indici tengono conto rispettivamente delle emissioni di gas serra, del consumo di risorse idriche e della quantità di suolo necessaria per produrre un’unità di prodotto alimentare. In particolare, le analisi hanno rivelato come la dieta a base animale sia associata ad un maggior impatto per ogni indicatore ambientale valutato; tuttavia, nel complesso, non sono state riscontrate delle differenze significativamente rilevanti per quanto riguarda i gruppi vegetariani e vegani. Inoltre, sebbene né il pesce né la carne fossero gli alimenti consumati in maggiore quantità, il loro è stato il maggior contributo ai valori di impatto ambientale degli onnivori, con tassi del 37% per quanto concerne l’impronta del carbonio, del 38% per quanto riguarda l’impronta idrica e del 44% per quanto riguarda l’impronta ecologica.

Questi dati possono essere spiegati considerando il fatto che la carne, e i suoi derivati, portati in tavola dagli onnivori spesso derivano dagli allevamenti intensivi il cui inquinamento va ad interessare i diversi comparti del Pianeta. Per esempio, l’acqua e l’atmosfera sono inquinate in maniera particolare dalle deiezioni: mentre il comparto atmosferico risente dei gas emessi dalla fermentazione di queste ultime, la risorsa idrica viene contaminata dai liquami che vengono sparsi, spesso illegalmente, sul suolo che, dilavato dalle piogge, contamina dapprima le acque superficiali e talvolta le acque di falda con sostanze come: fosforo, azoto e antibiotici. Tuttavia il dato che più stupisce, e a cui non si fa mai troppo caso, è l’erosione della risorsa suolo, secondo la FAO “il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d’uso antropico delle terre”. Guardando il caso emblematico dell’Amazzonia, il 70% dei territori deforestati è stato trasformato in pascoli bovini, mentre il restante 30% è occupato dalle terre coltivate per produrre il mangime destinato agli animali stessi.

Sebbene quanto descritto finora sia una linea generale desunta dall’intero esperimento, è bene sottolineare come si siano riscontrate delle importanti variabilità interindividuali e questo significa che non tutti gli individui hanno contribuito allo stesso modo agli indici di impronta ambientale. Alcuni soggetti specifici possono avere impatti ambientali notevolmente diversi dagli altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo alimentare.

Cosa c’è di eticamente corretto nell’intraprendere un’alimentazione più vegana

Se si chiedesse a un vegano quali sono le motivazioni che lo hanno spinto a questa scelta si potrebbe ottenere un’ampia gamma di risposte, partendo dai motivi di salute arrivando anche a motivi legati all’etica. Veganuary nasce anche con l’intenzione di sensibilizzare i non-vegani, proponendo sempre nuovi spunti di riflessione. Se lo si chiedesse a Vegolosi.it, pionieri in Italia per tutto quello che riguarda la dieta vegana, risponderebbero che bastano 5 semplici e ironiche motivazioni per convincere tutti ad intraprendere questo stile di vita.

Una delle motivazioni più forti è quella, secondo cui non è più necessario mangiare carne per essere in salute: infatti grazie allo sviluppo socio-economico avvenuto a partire dal dopo guerra, le persone sono in grado di mangiare di più e di variare al meglio la loro dieta assumendo così tutti i nutrienti di cui hanno bisogno. Vi è una sola eccezione che, per correttezza, va riportata: è la vitamina B12. Infatti, questa preziosa vitamina andrebbe integrata in quanto, anche se presente nei vegetali, non si trova in forma biodisponibile e dunque non può essere assorbita e utilizzata dall’organismo umano.

Inoltre, una scelta alimentare di tipo vegano permette di tenere allenata la fantasia. È vero…inizialmente si rischia il momentaneo smarrimento nel dover rinunciare a moltissimi piatti della tradizione italiana, eppure esistono delle varianti perfettamente in linea con questa scelta e si possono creare anche tantissimi nuovi piatti semplicemente sperimentando l’accostamento di sapori conosciuti. In questo caso possono venire in soccorso i social con le regine indiscusse della cucina vegetale: la Dottoressa Silvia Goggi e Carlotta Perego nota ai più con lo pseudonimo cucinabotanica.

Un’altra motivazione sta nel fatto che la cucina vegana non contribuisca alla sofferenza animale, tuttavia questa motivazione è quella che meno convince i più scettici, ma spesso si riduce il tutto ad una questione di empatia.

Quanto è fastidioso sedere a tavola e dover deludere le aspettative sociali di chi ti sta intorno? Infatti, a qualsiasi tipo di raduno, c’è sempre qualcuno che porge domande scomode del tipo “Quando ti laurei?” “L’hai trovata l’anima gemella?”. Ecco, essere vegani vi eviterà tutto ciò! Infatti, soprattutto all’inizio, tutti saranno impegnati a chiedervi come mai avete fatto questa scelta e così le fatiche della tavola saranno accompagnate da lunghe conversazioni che toccheranno temi sociali, etici e ambientali…insomma, essere vegani vi permetterà di provare l’ebbrezza della maieutica socratica senza per forza aver studiato filosofia.

L’ultima motivazione è quella ambientale. Come già visto, sono sempre più evidenti i danni arrecati al Pianeta non solo dalle scelte politiche ed economiche di Stati e multinazionali, ma anche dalle nostre condotte quotidiane. Il 14 dicembre scorso è stata lanciata la “La Glasgow Food and Climate Declaration”: un impegno dei governi locali ad affrontare l’emergenza climatica attraverso politiche integrate e un invito all’azione. All’interno della dichiarazione si afferma che “i sistemi alimentari attualmente rappresentano il 21-37% dei gas serra totali e sono al centro di molte delle principali sfide del mondo odierna, tra cui la perdita di biodiversità, la fame e la malnutrizione persistenti e un’escalation della crisi della salute pubblica”. Dunque, anche qualora si fosse in dubbio sulle quattro motivazioni precedenti, non si può non cedere di fronte a questi dati.

“Non sono d’accordo con quello che mangi, ma farei di tutto perché tu lo possa mangiare”

Non importa che sia onnivora, vegetariana o vegana, ciò che più conta è che il regime alimentare rappresenti una scelta sostenibile; il concetto di dieta sostenibile viene teorizzato per la prima volta nel lontano 2010. Secondo la FAO «le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane». Scegliendo un’alimentazione sostenibile si contribuisce attivamente al raggiungimento di quasi tutti gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030, con particolare attenzione per quelli a tutela del clima, dell’uso sostenibile delle risorse e della protezione della vita sul Pianeta.

Mantenere uno stile di vita sano e sostenibile passa attraverso tante scelte, alcune delle quali possono essere fatte fin dalla prossima spesa come ad esempio: la predilezione di prodotti locali, di stagione e qualora fosse possibile con certificazione biologica. Altre scelte potrebbero risultare più difficili, come ad esempio quella di cambiare completamente tipo di alimentazione, Veganuary nasce con l’intento di supportare i primi 31 giorni di questo importante passaggio fornendo uno “starter kit” nei quali sono presenti spunti di riflessione, consigli e ricette.

Nel suo primo libro Carlotta Perego spiega che diventare vegani, o sostenibili, non rende le persone migliori, né conferisce loro una superiorità ed è per questo che è necessario mantenere rispetto e ragionevolezza anche nei confronti di chi non condivide questo pensiero. Operare con garbo è fondamentale, suggerendo scelte che possono far bene a “chi ci circonda” nel senso più ampio possibile, dagli amici che sorbiscono i nostri consigli a tutti gli esseri viventi che condividono con noi il destino della Terra. Infatti; ogni volta che qualcuno si avvicina al mondo dell’alimentazione sostenibile anche solo per la curiosità suscitata o perché coinvolti dalla gentilezza, è possibile dire che è stata compiuta un’azione concreta per salvare il Pianeta.