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Economia, StartUp e Fintech

#iNspiration: il Capitano Daniel ai confini dei prodotti digitali

Oggi prende il via la nuova rubrica di iWrite: iNspiration.

Lo scopo di iNspiration è quello di viaggiare nelle vite dei nostri ospiti e lasciarci trasportare dai loro percorsi, sperando riescano ad ispirarci e che sicuramente ci regaleranno consigli di cui fare tesoro per il futuro

Il nostro primo ospite è Daniel Romano, un ex iStudent del V ciclo, che torna nella famiglia di iBicocca assumendo un ruolo diverso.

Ciao Daniel, benvenuto in iWrite! Fai un respiro profondo, rilassati e iniziamo: presentati pure ai nostri lettori.

Ciao, mi chiamo Daniel e nella vita sono un digital product designer! Che cosa significa? È molto semplice progetto prodotti digitali, soprattutto le App (native o web), poi gli e-commerce, i siti web, le landing page, ecc!

Sapete cosa penso? Progettare è un superpotere! È un atto di creazione, infatti durante un processo progettuale si individuano le necessità di qualcuno, si immagina qualcosa che prima non esisteva e che possa rispondere a queste necessità e lo si fa diventare realtà.

E questo qualcosa può essere in grado di cambiare il mondo in cui viviamo! Se non è un superpotere questo, allora che cosa altro dovrebbe essere?

Credo che i prodotti digitali poi abbiano qualcosa di straordinario, infatti nonostante abbiano una consistenza impalpabile rispetto ai prodotti fisici (sono fatti di software), conservano comunque questa enorme capacità di stravolgere la realtà.

Nella progettazione seguo il paradigma “utente-centrico”, un approccio che mette al centro l’utente o il sistema di utenti (umani, animali, vegetali o altro che siano)!

Parto dalla ricerca sugli utenti e arrivo a progettare la soluzione finale, ma in mezzo a questi due estremi ci sono una miriade di cose!

Prima o poi solcherò i sette mari a bordo di un gozzo, accompagnato da animali e creature fantastiche! Vuoi unirti alla ciurma? Vento in poppa ⛵

Qualche anno fa eri un iStudent ed oggi sei un ospite di iBicocca. Ti andrebbe di raccontarci la tua storia?

Certamente, molto volentieri!

Il mio percorso universitario non è iniziato in Bicocca, bensì al Politecnico di Milano  alla facoltà di “Progettazione dell’Architettura” dove ci hanno insegnato a progettare dal singolo prodotto che troviamo negli spazi che tutti noi viviamo all’intero impianto urbano.

I cinque anni passati al Politecnico mi hanno lasciato in eredità la capacità progettuale; questa può essere vista da due punti di vista differenti, da una parte come capacità progettuale specifica nell’ambito della materia architettonica e del prodotto fisico, dall’altra come capacità progettuale generale astratta dall’ambito specifico, potremmo definirla quindi “forma mentis progettuale”; il vantaggio di ciò è che è possibile applicare questa astrazione della capacità progettuale ad altri ambiti specifici diversi da quello originario.

Io credo che progettare significhi riuscire a prefigurarsi qualcosa prima che esista, proiettarne l’immagine e permettere così a una cosa di esistere ancora prima che venga effettivamente realizzata.

Al termine del mio percorso quinquennale nella progettazione avevo assunto la forma mentis progettuale, ero un tecnico (che è un modo in cui io chiamo gli operativi, cioè quelle figure che fanno, ruoli hands-on) ma avvertivo il bisogno di integrarla con una serie di abilità più gestionali e questo mi ha spinto a intraprendere un nuovo percorso di laurea triennale in “Economia delle Banche, delle Assicurazioni e degli Intermediari Finanziari” in Bicocca. Non ero sicuro riguardo dove mi avrebbe portato e nemmeno che fosse il modo giusto per integrare nel mio profilo professionale quello che volevo, ma comunque ho iniziato.

Il mio primo giorno da (nuovamente) matricola mi sono subito avvicinato al progetto iBicocca che ha cambiato il significato della mia iscrizione alla facoltà di economia: è così che sono venuto a contatto per la prima volta in modo strutturato con il mondo startup e con il mondo digital.

Per coincidenza temporale, era anche lo stesso periodo in cui avevo iniziato ad applicare la forma mentis progettuale, formata con 5 anni di Politecnico, ad un ambito nuovo per me da un punto di vista operativo/professionale, il prodotto digitale.

Le due cose, iBicocca ed imprenditorialità da una parte e progettazione del prodotto digitale dall’altra, sono andate avanti di passo passo da quel momento in avanti nella mia vita.

Questo percorso è stato il trampolino che mi ha lanciato verso il mio presente: oggi, oltre a lavorare come freelance digital product designer, sono socio fondatore di una startup in cui ricopro lo stesso ruolo di progettista del prodotto digitale – che è il nostro core business – e allo stesso tempo servo le esigenze dell’ambito business della startup, con il quale riesco a dialogare e rapportarmi senza alcuna barriera grazie alle competenze economico-imprenditoriali assunte tramite economia ed iBicocca.

Al contempo, in cantiere c’è il mio corso di Digital Product Design per trasmettere il mestiere del progettista del prodotto digitale (in giro anche detto UX e UI Designer) a chiunque provi l’interesse verso questo mondo.

In questo mondo digitale fatto di inglesismi, si sente la parola design declinata in tante forme diverse. Cosa significa UX/UI design? E come mai nel presentarti non ti sei definito tale?

Al giorno d’oggi chi si intitola “UX/UI designer”, nella grande maggioranza dei casi, non fa altro che progettare prodotti digitali cercando di dare una buona esperienza d’uso del prodotto agli utenti dello stesso; l’inglese serve a placcare d’oro e far sembrare più lucente una corona di carta stagnola (in inglese tutto ha un sapore diverso).

Per capire la definizione di UX/UI Design è necessario scomporre le parole: UX e UI sono gli acronimi di “user experience” e “user interface”; il verbo “to design” invece significa semplicemente “progettare”. Quindi il professionista in questione è qualcuno che si occupa di progettare il prodotto digitale (app, sito, ecc) per dare una buona esperienza d’uso all’utente finale.

Il termine comunque è bistrattato! La user experience, nella sua accezione completa, sarebbe l’insieme delle emozioni e delle sensazioni che l’utente prova nel suo rapporto completo con il brand, non solo con l’App, ma anche tutto il resto.

Per questo, definirsi “UX designer” (che significa “progettista dell’esperienza [totale]”), quando in realtà si progetta solo l’app o il sito e quindi si controlla solo una parte dell’esperienza (quella legata all’app o al sito appunto) è un ingigantimento del ruolo, un uso improprio del termine “user experience”.

Sarebbe più corretto dire che si è progettisti del prodotto digitale avendo come finalità una buona user experience, o se vuoi dirlo in inglese che suona meglio “user-experience digital product designer”, dove il termine “user-experience” non è più usato come nella parola “user experience designer”, ma nel senso di approccio alla progettazione del prodotto digitale.

Ps. non c’è bisogno di mettere sempre le maiuscole, non è un dramma scrivere “user experience” tutto in minuscolo.

Sappiamo che hai partecipato al Silicon Valley Study Tour come hai fatto e come pensi abbia contribuito alla tua formazione?

Ho conosciuto il Silicon Valley Study Tour (SVST) grazie ad iBicocca, infatti il V ciclo ha ospitato Paolo Marenco, co-founder dell’iniziativa che ci ha illustrato il progetto.

Appena sono venuto a conoscenza di SVST mi sono informato e ho inviato l’application per entrare a far parte di questa avventura, con cui ancora oggi collaboro.

La settimana di fuoco alla scoperta della Silicon Valley si pone l’obiettivo di portare fisicamente pochi brillanti studenti italiani nell’ecosistema imprenditoriale della Silicon Valley (California) facendoli entrare in stretto contatto con aziende come Google, Facebook, LinkedIn, McAfee, Pinterest, alcune startup di alto valore della Bay Area e università prestigiose come Berkeley e Stanford University. Il nucleo dell’esperienza è racchiuso nelle visite guidate in queste aziende e università della Silicon Valley e nella possibilità di dialogare con coloro che ci lavorano.

Non è un viaggio di tipo turistico, è un viaggio alla scoperta dell’ecosistema imprenditoriale della Bay Area, che offre un gigante carico di ispirazione e conoscenza! Ti permette di fare un tuffo dentro una realtà del tutto nuova e a te estranea per imparare modi di vivere, abitudini e mindset che con il nostro quotidiano hanno poco a che fare.

Il Silicon Valley Study Tour mi ha insegnato tantissime cose, tra queste cos’è realmente una startup e che c’è una grande differenza nel modo di fare impresa negli Stati Uniti e in Italia. Inoltre, questo tour mi ha permesso di apprezzare al meglio il ruolo che le piccole e medie imprese hanno all’interno del sistema imprenditoriale italiano (in Italia non dobbiamo per forza scimmiottare il modo di fare impresa americano).

Raccontaci del tuo progetto: come ti è venuta l’idea? Perché hai scelto proprio noi iStudent per validarla?

L’idea è estremamente semplice: mi piacerebbe insegnare la progettazione dei prodotti digitali. La motivazione che mi ha spinto a lanciare questo corso è il mio non comprendere come mai si sia generata la falsa credenza che per fare startup non sia necessario avere delle competenze specifiche, si tende a dimenticare che fare startup significa fare impresa a tutti gli effetti.

Credo nell’insegnare le competenze di cui è composta una startup piuttosto che genericamente “come fare startup”. Nello specifico, per creare una startup di tipo digitale, le competenze indispensabili sono: la capacità di progettare il prodotto digitale, la capacità di svilupparlo e la capacità di riuscire a venderlo.

Non mi va di alimentare il falso mito che con qualche mazzo di quadrifogli si possa fare successo nel mondo dell’imprenditoria e quindi cerco di essere coerente con ciò in cui credo. Credo nelle competenze, anziché nelle incompetenze. Infatti, negli ultimi anni vanno estremamente di moda queste soft skills, dimenticandosi che senza l’operatività (le competenze vere, il saper fare) sono solo un contorno.

Ho pensato di offrire questa opportunità gli iStudent perché l’ambiente di iBicocca è estremamente dinamico, composto da studenti con tanta voglia di fare e con atteggiamenti proattivi verso l’innovazione.

Credo che il mio corso possa funzionare come ponte che collega le attività pratiche con il mindset imprenditoriale ed innovativo che iBicocca vuole trasmettere.

Come hai speso le competenze apprese ad iBicocca nel mondo del lavoro? Dai tre motivi per cui vale la pena iscriversi ad iBicocca

iBicocca per me è stata la bussola che mi ha aiutato ad orientarmi e a trovare la mia strada nel mondo del digitale.

I tre motivi si possono riassumere in un unico grande consiglio da vecchio saggio che ci è passato prima di voi: cercate il giusto equilibrio tra iBicocca e studio, così da avere il tempo di dedicarvi alle attività proposte dal ciclo in tutta serenità e lasciarvi trasportare dall’entusiasmo del momento, senza però trascurare i doveri universitari.

Le attività proposte sono tutte entusiasmanti: è come se ti regalassero un seme e poi sta a chi lo riceve decidere se metterlo a frutto oppure no.

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Ambiente, società e tecnologia

Urban Mask: la mascherina intelligente della startup milanese Narvalo

Sareste interessati a una mascherina che vi protegge non solo da un virus come il COVID-19 ma anche da batteri, inquinamento e agenti allergeni?

Se la risposta è sì è in arrivo una nuova mascherina intelligente, che farà al caso vostro: è la Urban Mask del progetto Narvalo e sarà disponibile dal 10 luglio con annesse funzionalità smart.

L’idea nasce dalla mente del giovane designer Ewoud Westerduin del Politecnico di Milano. Il primo collaboratore è il suo relatore Venanzio Arquilla che attualmente ricopre la posizione di Co-founder e President. All’interno del team abbiamo anche Costantino Russo nella posizione di CEO.

L’idea di Westerduin risulta essere così interessante che nel novembre del 2018 viene incubata da POLIHUB attraverso il programma Switch2Product mentre ad aprile 2019 viene selezionata come “talent in residence” in POLIFACTORY.

 

Prima dell’emergenza COVID-19 la startup Narvalo era partita dalla progettazione di una mascherina anti-smog di cui aveva preventivato il test per i primi 50 esemplari dal 24 gennaio 2020. I filtri di queste mascherine sono stati progettati insieme a BLS, azienda boutique milanese specializzata nella progettazione e produzione di maschere e dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

Al momento del test la mascherina della startup Narvalo presentava già le seguenti caratteristiche: tessuto 3D, valvola di espirazione che massimizza il deflusso dell’aria evitando l’accumulo di calore e l’umidità, filtri sostituibili della durata di un mese e idrorepellenza della parte esterna del filtro.

Il sistema filtrante ha garanzia BLS e il filtro è composto da 5 strati che bloccano virus, batteri, polveri e odori in quanto uno degli strati contiene carbone attivo. La protezione garantita è infatti pari al 99,9% contro tutti i nemici invisibili dell’aria e risulta quindi più efficace di una FFP3.

Il claim di Narvalo è Air of Change, una promessa verso la sostenibilità e contro l’ inquinamento caratterizzata da un modello di business improntato sull’economia circolare attraverso il riutilizzo dei filtri esausti.

L’emergenza COVID-19 ha portato Narvalo a implementare nella sua mascherina, oltre alle già citate caratteristiche, un tappo “anti-Covid” che blocca la fuoriuscita di goccioline anche durante l’espirazione e si può rimuovere quando non necessario. Inoltre la parte di sviluppo si è evoluta al punto da permettere la versione IoT della Urban Mask che prevede l’uso di un app; grazie al dialogo tra app e mascherina è possibile monitorare non solo chi la indossa ma anche l’ambiente circostante in modo da creare un ecosistema connesso.

Nella vision di questa startup c’è l’intento di formare una mobile community di Narvalo’s people: persone che indossando la mascherina monitorano l’ambiente, avendo cura di se stessi e per il prossimo.

Chi indossa questa mascherina diventa quindi consapevole dei propri comportamenti e di quelli degli altri: essere Narvali significa acquisire la possibilità di cambiare il mondo in meglio.

Siete pronti a diventarlo anche voi?